Due giorni pieni e intensi tra bellezza di una terra speciale. Tra uno spazio condiviso come la piazza, fatto di canti, saluti e abbracci, e la timida intimità dietro l’uscio di casa. Tra i nastri colorati, le campane e le croci in strada, e tutti quegli oggetti appesi alle pareti tra le mura di casa, ricordo di un mondo che forse non c’è più, ma che ancora emerge nei ricordi.
Noi, Francesco, Caterina e Bartolomeo, chiudiamo gli occhi e conserviamo ogni dettaglio: immersi tra boschi che regalano mille tonalità di verdi, sotto un cielo così carico di energia da sembrare elettrico, gremito di nuvole scure prima che l’aria si riempia di pioggia.
Due giorni di certo non sono sufficienti a farci cogliere e conoscere questo universo, ma sono bastati a farci immergere nelle storie di questi luoghi e di chi li abita: storie raccontate con voci che hanno profumi quasi esotici e dita segnate dal tempo. Per noi entrare nelle case è stato un privilegio, ma ancora di più lo è stato poter sbirciare dentro occhi profondi, cullati da voci, che, tremando, a tratti svelano qualcosa di più.
In pochi minuti ci troviamo immersi in un mondo lontano. D’improvviso le storie che ci vengono raccontate ci catapultano a giocare a rincorrerci con Maria Teresa lungo le vie ciottolate (“anche rischiando la vita”); e poi accanto a Renzo a dormire durante le notti d’estate su lenzuoli stesi tra la paglia di un fienile, fantasticando sul prossimo film western da proiettare al cineforum in paese; o ancora seguendo i passi di Karen sperduta tra il caldo d’Australia o la bora di Trieste fino a scoprire una nostalgia di casa che sa di scelta, di ritorno e di vita; oppure in una stanza di un collegio di Udine insieme a Verio che da ragazzino a Udine proprio non ci voleva stare, perché già se lo sentiva dentro di voler restare nella Valle degli Orologi, che per lui era e sempre sarebbe stata la sua casa.
Passato, presente, futuro. Neanche il tempo di destarci e siamo già con i nuovi abitanti del paese, quei ragazzi che attraversano di corsa le vie con la loro cassa bluetooth in braccio e la musica trap. Li ritroviamo la domenica mattina con quella stessa cassa a dare volume alle parole del loro parroco, circondati da una schiera di croci adornate di fiocchi colorati, e più tardi eccoli ancora in veste di camerieri nella grande palestra in cima alla valle a portare grandi vassoi di pasta al ragù per tutte quelle decine di persone sedute lì insieme. Qualcuno seduto accanto a noi ci dice che è giusto che i ragazzi della loro età vadano via da questi luoghi, a cercare e vivere una vita diversa. Ma loro sono qui, con la loro cassa e i cappellini tenuti all’indietro, e con quella luce negli occhi che proietta tutto quello che abbiamo vissuto nel presente, lasciandoci insieme disorientati e meravigliati, con la sottile sensazione di aver a malapena sfiorato la superficie di tutto questo.
Ciò che vedrete e ascolterete del nostro viaggio in Carnia parlerà di un confine tra ambiente domestico e spazio pubblico. Tutto è stato possibile grazie alla disponibilità e alla fiducia di Amanda, Luisa, Beppina, Alessandro, Maria Teresa, Karen, Annalisa, Mirco, Renzo, Verio, Tania e Walter che ci hanno letteralmente aperto le loro porte di casa e raccontato la storia della “loro casa” in Carnia, che poi non è altro che la loro storia.
Francesco, Caterina e Bartolomeo