Il confine ci appare come un flusso: linguistico, di apertura e identità in questa comunità che si rinnova lenta e costante; confine come uscio, spazio attraverso il quale due realtà comunicano. Voci e dialetti diversi, con forti radici comuni, nate dalle tradizioni rurali. Una scelta intragenerazionale e quotidiana di appartenenza. Queste voci in fondo si assomigliano: tutte raccontano senza ingenuità la ricchezza del luogo ma anche i suoi limiti, rivendicandone l’appartenenza.
Indagare il significato di confine in una realtà come Farra d’Isonzo è sentir parlare i suoi abitanti di apertura, incontro, dialogo tra le due parti di una linea che ormai non c’è più. Sono lontani gli anni della cortina di ferro, in cui la paura dell’altro lato era vivida e costante. Il suo sgretolarsi ha lasciato spazio a una commistione di lingue, tradizioni e costumi condivisi e ibridi: il “friulano di Farra”, il bisiacco, lo sloveno e l’italiano popolano pacificamente un territorio che ha molte voci, molti suoni. Gli abitanti di questo piccolo paese raccontano con emozione il giorno in cui le ultime barriere sono state abbattute e il conseguente appropriarsi di una nuova libertà di spostarsi da una parte all’altra, con legittimità.
Ironico sentire parlare, quasi con orgoglio, di come tutte le popolazioni “straniere”, nel corso della storia, siano passate per questi luoghi, attraversando il ponte romano sull’Isonzo o camminando sui “roncs”. Mentre l’Isonzo scorre perpetuo, la comunità resta salda alla propria terra, alla propria identità. Contrasto naturale di un confine che crea legame, invece che barriera.