Gemona, un inizio e una fine

Maggio 23, 2022

Un prima e un dopo. Un inizio e una fine. Per trovare poi un nuovo inizio. Il senso del nostro viaggio a Gemona, forse, sta tutto lì. Nel ricominciare, nel ripartire, anche quando si perde tutto. Per davvero, non metaforicamente.
Siamo stati i primi ad agire sul campo, il primo gruppetto di questo bellissimo progetto lanciato all’esplorazione. Con una sola bussola: il concetto di confine.

Un confine che a volte è facile da trovare, su una cartina geografica magari, a volte invece è molto difficile, come quando cerchi la faglia di un terremoto su una montagna o devi scovare le crepe nell’animo di persone che non conosci. Un solco, che ha segnato un prima e un dopo sicuramente materiale, ma ancor di più emotivo e psicologico, per chi ha vissuto quei 59 secondi il 6 maggio 1976.
Provate a contare. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque… E arrivate a 59.
E in questa infinità di tempo (davvero è così lungo un minuto?) metteteci l’incredulità, lo sgomento, la paura, l’inconsapevolezza, il senso di impotenza, e tanto, tanto, tanto altro. Solo chi era lì sa o magari, per il trauma, nemmeno ricorda. Quando si dice “Se non l’hai provato sulla tua pelle non lo puoi capire”, in questo frangente non è un discorso egoistico o narcisistico. È pura realtà. E c’è la paura di mezzo, che resta ancorata e si apre come le crepe nel terreno.

Ci siamo ritrovati in quei luoghi a praticamente 46 anni esatti di distanza dall’Orcolat. E lì, in quei due giorni, abbiamo cercato questo confine parlando con le persone. Scoprendo la dura legge del terremoto. Che non ha preavviso. Che non è controllabile. Che ribalta ogni legge fisica a cui siamo abituati e che lascia un dubbio terribile: “Torna? E quando?”.
Una sorta di allerta costante ed inconscia. Come quella provata da chi ha vissuto per mesi nelle tende, cercando di non far pesare ai più piccoli una forte situazione di disagio. Non avere più una casa. Non avere più casa propria.

Abbiamo scoperto un concetto a cui noi, per lo meno, non avevamo pensato: il buio.
Perché voi c’avete mai pensato al buio?

Quando il terremoto si è abbattuto sul Friuli erano le 21 in punto. Luci che saltano. Oscurità. Quindi, nel marasma di insicurezze, ci va anche questa difficoltà, cioè giocare una partita dove parti sicuramente sfavorito e senza il senso della vista. Nella nostra ricerca siamo riusciti, con un pizzico di fortuna, a trovare chi invece il terremoto l’ha visto e non solo sentito.
Lui era un appassionato di elettronica e aveva costruito un impianto di luci di emergenza in casa, così dalla finestra ha visto la terra creare delle onde. Ha visto l’Orcolat, la forza devastante della natura che ci rende minuscoli.

Soltanto a settembre, tutti quanti, durante la forte seconda scossa, hanno poi visto il terremoto. Parlando con le persone di Gemona abbiamo scoperto un mondo che proveremo a raccontarvi nel nostro piccolo documentario. Storie di chi c’è stato e di chi non c’è più. Di chi ha toccato questo confine, si è immerso, e poi ne è uscito, per oltrepassarlo.

Questa pelle è un recinto e un confine, dice la canzone degli Ex-Otago con Willie Peyote.

Sulla pelle ormai, per chi ha memoria di quegli istanti, ci sono alcune rughe. Accennate per coloro che erano più giovani nel ’76, molto marcate per chi oggi ha superato gli 80 anni. Piccoli segni del tempo che passa e non deve essere dimenticato… che poi è ciò che è utile quando si oltrepassa un confine: andare avanti, e procedere sì, ma senza dimenticarsi di ciò che è stato, perché uno sguardo indietro, sotto certi punti di vista, può servire a continuare il cammino.

Luca, Benedetta e Vanessa

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